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FOTO DI ALBERTO GHERARDI
(Somendenna di Zogno - Bergamo) -


Alberto Gherardi
 
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Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli

il 25 agosto 2009

Dopo le recenti ascensioni al Tre Confini e al Cabianca, un Piero sempre più in forma mi chiama e mi dice “Avrei voglia di provare a fare il Pizzo del Becco.” Bisognerà non farsi venire le vertigini e abbracciare qualche petto di roccia, ma lui ne è consapevole e mi dice che tutto sommato si sente pronto, che se non lo fa adesso forse poi non lo farà più. Anch’io non ho mai fatto una ferrata intera, ma le prime volte mi eccitano sempre, sia che si tratti di montagne che di donne. Devo proprio essere un umano, non riesco a farmene una ragione. E così, poche mattine dopo, il lago di Carona ci vede arrivare, anche se per questo non si scompone più di tanto e rimane la consueta bella pozza color acqua e menta. Con noi due c’è anche mio cognato Roberto Gasparini, che dopo la sua prima volta sulla ferrata del Becco (l’anno scorso) si farebbe con estremo piacere un secondo giro. È un umano anche lui, dunque. Il bosco sopra Carona è carico d’umidità ma il sentiero senza strappi e un ritmo tranquillo ci portano freschi al Lago Becco, che a metà mattina è ancora un’oasi di silenzio. Ci sparpagliamo nei dintorni per qualche foto sotto una luce estiva non troppo violenta, poi riprendiamo il bel sentiero 250 (il “giro dei laghi”) che sale al Lago Colombo. Pochi metri prima di raggiungerlo si stacca sulla sinistra un sentierino che alzandosi rapido sul lago (splendida vista sulle acque blu e sul dirupato Monte Aviasco dominante l’altra riva) si dirige nella zona dei grandi massi alla base della parete sud del Pizzo Becco. Presso queste immani pietre il sentiero si smarrisce e bisogna seguire i segni e le frecce rosse tracciate con la vernice. Il minimalismo orobico fa sì che uno si debba immaginare che la scritta C.B. sopra un sasso significhi Cima Becco, ma se riuscite a farlo non vi perderete e proprio lassù quell’indicazione sobria vi porterà. Sul tratto impervio accelero e prendo qualche metro di vantaggio prima di fermarmi a togliere le fide Nike da running e infilare gli scarponi. D’improvviso una femmina di stambecco mi viene incontro e si ferma a due metri da me a leccare le guance di un masso e una barba d’erba. Arrivano anche Roberto e Piero e le facciamo un bel book fotografico, mentre sopra di noi due adorabili piccoli sbirciano dal culmine della parete. Siamo così al campo base della ferrata, breve sosta per una ghiottoneria e un cicchetto di vino (Piero), via i bastoncini e fuori gli zebedei, il panorama verso la conca dei laghi Gemelli è straordinario ma la mente è già diretta verso il canalino verticale sopra di noi: la catena ci chiama, Piero pare meno entusiasta di un pendolare del lunedì mattina, ma non per questo abdica né mette via la macchina fotografica. Si decide che sulla ferrata staremo avanti io e Roberto, così Piero potrà immortalarci se cadremo. Se dovesse cadere lui… beh, potremo sempre cercare di recuperare la “scatola nera” marcata Canon…
La ferrata del Becco è perfetta per approcciarsi al mondo dell’arrampicata: ti dà un’idea di quel che ti aspetta, ti costringe a qualche fatica inedita, c’è ovviamente un minimo rischio se come noi la fai senza cordino, ma tutto è breve e fattibile, alla fine sono solo una settantina di metri e se la prendi senza paura in 15 minuti sei fuori dal tratto impegnativo. Piero ci segue, e scala, e sbuffa, e fotografa, e sbuffa ancora, le prime nebbie nel frattempo risalgono i pendii e le nuvole si siedono sulle cime. Uno stambecco fa cadere un sasso a una decina di metri da noi, ma Piero stranamente non lo fotografa: uhm, dev’essere proprio al gancio!

Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY


Alla fine si esce dal tratto di catene e stando sotto un maestoso torrione sporcato di giallo si guadagna per ripido sentierino la bocchetta di cresta che permette di vedere l’altra faccia del Pizzo Becco. Stupenda, va detto. Un mondo alieno di rocce dirupate e grumi di massi violacei, un luogo aspro ma fascinoso anche nella marea di nebbia che sta allagando la montagna.
Prendiamo a sinistra la cresta e saliamo per tracce di sentiero e brevissimi tiri di catena sino alla cima del Becco, ormai a soli 15-20 minuti dalla bocchetta. Quando la raggiungiamo, Piero è così contento che decide di non farsi mancare la Nebbia Totale, perché sennò le foto sarebbero troppo facili. Seduti sotto la croce mangiamo panini al gusto di ferro di catena, poi due parole sul libro di vetta e altre chiacchiere amiche. Sul Becco non c’è nessun altro, due ragazze e un uomo che ci seguivano hanno evidentemente rinunciato oppure la capra lanciasassi ha fatto bingo.
Si torna alla bocchetta ripercorrendo la cresta dirupata, diamo un’ultima occhiata al canale che abbiamo risalito un’ora prima e poi, nelle brume più brumose, ci dirigiamo verso est per aggirare la seconda cima del Becco sul lato nord. E’ questa una zona morenica davvero suggestiva che ci porterà al Passo di Sardegnana, e che non avendo un vero sentiero va percorsa seguendo esclusivamente gli ometti di pietra, peraltro in gran numero. Superiamo una balza che ha perso la neve da pochissimi giorni e qualche residuo nevaio che qua e là si scioglie in pozze grigie. I massi color vinaccia si alternano ad altri blocchi sfumati sul verde, col sole questo posto dev’essere uno spettacolo. Superato con qualche attenzione un salto di roccia, giungiamo al Passo di Sardegnana, ampio valico poco frequentato e con laghetto per anime solitarie come gli omini di pietra, qui in versione watussi.
La discesa verso il Lago Colombo è ora semplice anche se non breve, ne approfittiamo per discutere di toponomastica alpina anche perché l’urgenza mia e di Piero di battezzare tutto è costante. Forse dovevamo fare i preti, chissà.
Oltrepassiamo la diga del Colombo, scendiamo ai Laghi Gemelli e chiudiamo quindi il giro dei laghi raggiungendo il Casere e poi l’elegante contorno del Lago Marcio, splendido specchio d’acqua che sentitamente ringrazia per la fiducia datagli dai cartografi locali.
Da qui in giù è solo infinita discesa e sfinente mal di piedi.
Carona è un groppo in fondo alla gola brembana, ma guardando Piero vedo che la soddisfazione per la bella escursione e la prima rampata lo ha davvero beccato in mezzo al petto.

Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
Da Carona al Pizzo del Becco (2507 m.) per via ferrata, con discesa dal Passo di Sardegnana e Laghi Gemelli - FOTOGALLERY
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Dalle Baite di Mezzeno alla cima nord dei Tre Pizzi e omonimo rifugio il 19 luglio 2009

In un giorno limpidissimo come lo sguardo degli arcangeli, decido di portare la truppa di casa alla cima Papa Giovanni Paolo II (ascesa per me inedita) attraverso il passo di Marogella e la cresta che passa per il Monte delle Galline. Il favonio notturno ha ripulito il cielo dall’afa dei giorni precedenti e la giornata è ideale per sentirsi beati se non proprio Pontefici. Giunto però in quel di Roncobello capisco che la stessa ispirazione è venuta a molti: già un chilometro prima delle baite di Mezzeno sono costretto a piazzare l’auto ai limiti della scarpata di valle per l’immane quantità di ciabattari domenicali giunti in zona. Il secondo inconveniente è molto più nature ma ugualmente spiazzante: i primi cinquanta metri del sentiero per il passo di Marogella sono stati testimoni di una violentissima crisi intestinale della locale mandria di mucche al pascolo, e così i miei giovani eredi iniziano a berciare esprimendo ferma contrarietà all’eventualità di far cambiare colore alle loro immacolate Asics. Infastidito dai due contrattempi e dal mattino già troppo avanzato per i miei gusti, ricalibro la truppa su altra destinazione, ovvero i Tre Pizzi e l’annesso nuovo rifugio. Seguiamo quindi sul sentiero 215 il carnaio festivo che sale in zona Laghi Gemelli, ma solo per portarci al bivio che a sinistra fa nascere il bel 217. Pochi passi dal bivio e la montagna ridiventa paradiso: fra folate di vento birichino le visuali offerte dalla nord dell’Arera, dal Corno Branchino e dal gruppo del Menna si accompagnano alla serenità offerta dai pianori delle baite di Monte Campo, una vasta zona ideale per far correre i pensieri sulle linee panoramiche. Ci troviamo in pratica sulla linea di demarcazione orografica fra le Prealpi orobiche costituite da dolomia (la costiera Menna-Corno Branchino-Arera-Cima Valmora-Fop-Secco) e le Alpi Orobie costituite da rocce silicee che si elevano da questo punto verso nord, e, così, come succede in tutti i luoghi di frontiera, qualche sensazione in più ti resta dentro. Al termine del pianoro delle baite di Campo si mostrano per la prima volta i Tre Pizzi, rilievi posati con arguzia uno a fianco dell’altro: due belle piramidi verdi-giallo-viola (la seconda molto affilata) e una terza cima dalle forme meno suggestive ma al tempo stesso più alta delle colleghe, perché così è la natura, severa con gli arroganti ma onesta nel distribuire fortune.

Dalle Baite di  Mezzeno alla cima nord dei Tre Pizzi e omonimo rifugio il 19 luglio 2009 - FOTOGALLERY
Dalle Baite di  Mezzeno alla cima nord dei Tre Pizzi e omonimo rifugio il 19 luglio 2009 - FOTOGALLERY
Dalle Baite di  Mezzeno alla cima nord dei Tre Pizzi e omonimo rifugio il 19 luglio 2009 - FOTOGALLERY
Dalle Baite di  Mezzeno alla cima nord dei Tre Pizzi e omonimo rifugio il 19 luglio 2009 - FOTOGALLERY
Il sentiero riprende a salire - non troppo faticoso - sino alla conca sotto il Pietra Quadra dove il laghetto omonimo si è appena svegliato dal lungo letargo 08-09. Stando sulla sinistra della vasta pietraia oltrepassiamo la bocchetta da cui si può salire alla cima nord dei Tre Pizzi. Ignoriamo l’ascensione e scendiamo verso il nuovo e piccolo rifugio costruito da una specie di joint venture montana Roncobello-Isola di Fondra e inaugurato circa un mese fa. La costruzione, collocata su uno spettacolare balcone a picco sulla val Mencucca e su Trabuchello, non è visibile sino all’ultimo pur arrivandoci dall’alto. E così un po’ di sorpresa la strappa. Due ore di marcia a ritmo di mocciosi, panorama strepitoso verso il Tre Signori e la cresta Torcole-Pegherolo, cielo ancora a prova di specchio, rifugio chiuso e quindi poca brigata e beltà adeguata. Penso alla mandria di umani in quel momento stravaccata attorno ai Laghi Gemelli e il panino mi pare ancor più buono, anche perché nel frattempo ho conosciuto una gradevolissima coppia di Arzago d’Adda. Io e Paolo lasciamo le rispettive famiglie stese al sole, torniamo alla bocchetta e saliamo alla cima nord dei Tre Pizzi (2167 m., bisogna usare le quattro zampe per qualche metro, serve un po’ d’attenzione). Vista fantastica sulle dolomie orobiche e verso ovest sino al Rosa. Al ritorno anche Marzia vuole salire la cima e con sorpresa la accompagno fra le rocce. E’ poi la volta di Daniel, 6 anni orgogliosi, che non vuole essere da meno e infatti non lo è, e così alla fine la “Tre Pizzi” la salgo tre volte. Per uno che porta il pizzetto mi pare cosa buona e giusta.
Dalle Baite di  Mezzeno alla cima nord dei Tre Pizzi e omonimo rifugio il 19 luglio 2009 - FOTOGALLERY
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Dalle Baite di  Mezzeno alla cima nord dei Tre Pizzi e omonimo rifugio il 19 luglio 2009 - FOTOGALLERY
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Da Pianezza di Schilpario lungo la valle del Gleno fino al passo di Belviso (2518 m.) l’11 luglio 2009

Undici luglio, estate avanzata in disavanzo di bel tempo, e tre spunti notevoli per la mia mente svolazzante in cerca di mete:

1) il Passo di Belviso, se non il più alto certamente fra i più alti valichi bergamaschi in assoluto (2518 m.)

2) La visione diretta del lago di Belviso, spesso ammirato in foto e che credo sia il lago più grande fra quelli incastonati tra le valli orobiche o confinanti con esse.

3) La lunga e selvaggia valle del Gleno, con l’eco storica del dramma della diga crollata nel 1923 sulle vite di mezzo migliaio di persone.

È così che, nell’ennesimo prealba brembano piuttosto perplesso esco di casa e sfreccio verso la Val di Scalve, splendida terra ricca d’indipendenza e di caratteri affilati come diedri montani. A Vilminore abbandono la provinciale per salire a Pianezza, dove lascio l’auto nella deliziosa piazza ai piedi del campanile che – con il suo suggestivo orologio a unica lancetta e quadrante di sole 6 ore al posto delle canoniche 12 – dimostra che qui la gente è abituata a non perdere tempo, soprattutto con quelli che hanno bisogno del numero doppio di lancette per capire in che spicchio di giornata stanno. Prendo atto dell’intelligente parsimonia scalvina e imbocco il sentiero 411, che sale deciso verso uno dei poster migliori della landa orobica: le pareti nord della Presolana e del Ferrante strapiombanti sul mare arboreo scalvino. Ma a colpire è anche la suggestione che il sentiero 411 regala quando più in alto si spiana e si scava nella roccia permettendo visuali aeronautiche della bassa valle e delle costole di cemento rimaste in petto allo sbarramento del Gleno. Quarantacinque minuti dopo la partenza sono alla diga, il sole è sorto e pare di buona luna, i ruderi della imponente costruzione sono più fascinosi che minacciosi e il primo pianoro della valle si mostra in una perfetta veste bucolica fatta di acque docili, cavalli al pascolo, erba di rugiada e silenzi biblici.
Troppa grazia, penso; il peccatore è notevole. Metto giù la testa e parto per il passo di Belviso, che in lontananza si sta facendo indovinare sotto l’orlo del cielo.

Da Pianezza di Schilpario lungo la valle del Gleno fino al passo di Belviso (2518 m.) l’11 luglio 2009  - FOTOGALLERY
Da Pianezza di Schilpario lungo la valle del Gleno fino al passo di Belviso (2518 m.) l’11 luglio 2009  - FOTOGALLERY
Da Pianezza di Schilpario lungo la valle del Gleno fino al passo di Belviso (2518 m.) l’11 luglio 2009  - FOTOGALLERY
Da Pianezza di Schilpario lungo la valle del Gleno fino al passo di Belviso (2518 m.) l’11 luglio 2009  - FOTOGALLERY
Da Pianezza di Schilpario lungo la valle del Gleno fino al passo di Belviso (2518 m.) l’11 luglio 2009  - FOTOGALLERY
La Valle del Gleno è costituita da tre livelli, i primi due sono pianori verdeggianti segnati dai ruscelli, il terzo è alta montagna e quindi aspro e roccioso. I tre piani sono intervallati da due decisi salti di quota che si risalgono con un sentiero ben tracciato. Tutta l’ascesa è appagante per i sensi, e solo le prime nuvolone di mezza mattina compromettono i colori della mia marcia solitaria. Le ultime centinaia di metri le compio nella neve, che per fortuna non sprofonda, e sotto un cielo percorso da nebbioni. Anche il mio passo è ingrigito, e gli ultimi ripidissimi metri sono impegnativi. Tre ore e quisquilie dopo la partenza da Pianezza sono finalmente in cima, fra qualche bruma di troppo che compromette la lunga anima blu del lago di Belviso. Vorrei contornare l’elevazione rocciosa che sta alla mia destra, raggiungere il vicino passo dei Lupi e da lì ridiscendere in valle del Gleno, ma il freddo pungente e le nubi mi consigliano un rientro immediato: quindi via con le foto di rito aspettando qualche lampo di sole e poi giù sulla neve usando gli scarponi come sci. Alla diga mi aspettano Piero e la sua truppa, quindi il ritorno sarà rapido. Nelle 5 ore trascorse nella valle di Gleno ho incontrato una sola persona: se in via Gleno c’è la prigione di Bergamo, qui invece la libertà è assoluta.
Escursione molto bella: panorami superbi e supremi, i miei primi bastoncini della carriera che superano l’esame della lunga discesa col grazie convinto delle ginocchia, tre marmotte che fischiano la mia uscita dal campo perché a sostituirmi sono stormi di giovani rododendri, e decine di docce naturali per rinfrescarsi l’anima. Val del Gleno-Belviso: corso accelerato di storia e geografia. E vi dirò: val la pena farsi bocciare per ripeterlo.
Da Pianezza di Schilpario lungo la valle del Gleno fino al passo di Belviso (2518 m.) l’11 luglio 2009  - FOTOGALLERY
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©2009 - Piero Gritti - Per informazioni: -